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Autore: Redazione sito

Oltre all’abbattimento delle barriere architettoniche si favorisca un cambio generale di mentalità

Non è sufficiente abbattere le barriere architettoniche e sensoriali ancora esistenti sul territorio cittadino. Oltre a queste, dobbiamo liberarci delle barriere culturali: è inutile, per esempio, costruire uno scivolo per ogni marciapiede, se poi gli automobilisti vi posteggiano davanti il loro mezzo.
Nell’appoggiare e condividere totalmente la petizione popolare presentata oggi – corredata dalle firme di 678 cittadini torinesi – per chiedere al Consiglio comunale di eliminare le barriere architettoniche (e sensoriali) che ancora rendono difficili la mobilità e le interazioni sociali per le persone con disabilità motoria o sensoriale, ribadisco la necessità improrogabile di affiancare agli interventi fisici e tecnici un impegno strategico, sul lungo periodo, finalizzato a favorire un cambio culturale di mentalità.
Inutile eliminare scalini, porte strette, pendenze eccessive e spazi ridotti (problema fisico) se non si fa in modo che, per esempio, gli stalli riservati alla sosta delle persone con disabilità non diventino terreno di conquista per gli altri automobilisti, che l’accesso alle rampe sia sempre lasciato libero, che eventuali guasti agli ascensori delle stazioni del metrò siano opportunamente e anticipatamente segnalati e così via (problema culturale).
Perché la città sia effettivamente per tutti bisogna pensare l’”accessibilità per tutti” a partire dalla fase di progettazione. Limitarsi a interventi di rilevanza locale quando le barriere sono prima di tutto culturali è un passo indietro, non un passo avanti. Proprio nell’ottica di una progettazione per tutti (una filosofia progettuale che deve ispirare non solo l’edilizia, ma anche il sistema della pubblica amministrazione), il Consiglio Comunale ha chiesto alla Giunta di istituire la figura del Disability Manager: aiutiamo lui, dunque, a svolgere il suo compito, un compito gravoso che parte dalla mentalità con cui si affrontano le questioni, in primis quella vitale del trasporto. Ambito nel quale, più che in altri, è evidente non tanto la presenza di barriere, ma soprattutto la carenza strutturale nella creazione e nella progettazione di servizi che siano davvero per tutti (una città che riduce i buoni taxi chiedendo alle persone con disabilità di scegliere tra stallo riservato e buono stesso, e poi lavora su un PEBA – cioè sullo studio di soluzioni, anziché sulla loro attuazione – sta tagliando servizi esistenti per investire sulla progettazione.
Lo sforzo volto a favorire un cambio di mentalità non può che partire dalle scuole. Mi impegno fin da ora a sostenere una campagna di sensibilizzazione, in questo senso, presso le scuole medie della città, con il supporto delle Circoscrizioni ed eventualmente di partner privati.

Il proliferare dei centri commerciali uccide il piccolo commercio

L’opposizione di cinquecento cittadini alla costruzione di un nuovo supermercato in zona Pozzo Strada riporta d’attualità la necessità di salvare negozi e piccoli esercizi. Piccoli esercizi che non sono solo la fonte di sostentamento di tantissime famiglie, ma rappresentano uno dei principali argini contro desertificazione sociale e degrado.
I cittadini di Pozzo Strada hanno espresso a gran voce, con la raccolta di 439 firme, la loro opposizione all’ipotesi di apertura di un nuovo centro commerciale in via sant’Antonino. Tra le ragioni della protesta, la presenza nella medesima via di due altri supermercati già attualmente attivi e di una grande quantità di piccoli esercizi: “Non vediamo l’utilità sociale di un nuovo supermarket – affermano i cittadini –, mentre abbiamo ben chiari i danni, in termini di traffico e inquinamento, che la nuova apertura comporterebbe”.
Senza entrare nel merito della questione, è evidente che, in questa città, il proliferare incontrollato di centri di grande distribuzione sta uccidendo il commercio di vicinato (singoli esercizi e talvolta intere vie commerciali), impoverendo in maniera drammatica tante famiglie.
Non solo: se la Pubblica amministrazione continuerà a ignorare la questione, sarà corresponsabile della distruzione di quello che è anche un formidabile baluardo contro la desertificazione sociale, e quindi contro il potenziale degrado, di interi quartieri.

Via San Francesco, parcheggio selvaggio a pochi passi dal Comune

Nonostante le segnalazioni, gli appelli e la contiguità di Palazzo Civico, sono almeno una decina le auto in sosta nel tratto compreso tra le vie Garibaldi e Barbaroux, teoricamente riservato al trasporto pubblico. A farne le spese sono soprattutto pedoni e ciclisti, costretti a pericolosi percorsi a ostacoli.
Nei soli primi trenta metri circa di via San Francesco (vedi foto in allegato, scattata oggi alle 13.30), sono ben sei veicoli che ingombrano il marciapiede destro, proprio sotto il segnale che indica che l’accesso è riservato al trasporto pubblico. La foto in allegato è stata scattata fuori dall’orario (10.30 – 12.30) in cui la sosta è consentita per lo scarico delle merci presso gli esercizi commerciali. Tra un veicolo e l’altro lo spazio non è sufficiente, in alcuni casi, neppure per consentire il passaggio di un pedone. La situazione è solo leggermente migliore sul lato dei numeri dispari, con “appena” un paio di veicoli malamente parcheggiati.
Sono proprio i pedoni, insieme ai ciclisti, a essere maggiormente penalizzati dalle auto in sosta: i primi sono costretti a difficoltose gimkane tra un’auto e l’altra, mentre i secondi sono obbligati a invadere per lunghi tratti la carreggiata, lungo la quale passano i binari del 4, insidiosi soprattutto nelle giornate di pioggia, con un più che concreto rischio di cadute.
La situazione, grave di per sé, diventa inaccettabile considerando la vicinanza con la sede del Comune e le ripetute segnalazioni del problema da parte di cittadini e organi di stampa.
Posizionare dei paletti dissuasori non è una soluzione percorribile, a causa della presenza di uno degli stalli per il carico e scarico della merce.
Ma il problema si può comunque risolvere: basterebbe un più scrupoloso, attento e metodico controllo da parte della Polizia Municipale.

L’Assessore Curti illude: “Via Po libera dai graffiti prima della fine dell’Ostensione” – Ma un lavoro di pulizia di questo tipo necessita di almeno due mesi

Una delle vie più prestigiose di Torino versa in condizioni impresentabili, proprio mentre la città è pacificamente invasa da turisti e pellegrini. L’Assessore Curti prova a rassicurare sui tempi, garantendo la pulizia dei portici “entro la fine dell’ostensione della Sindone”, il 24 giugno (e sarebbe comunque troppo tardi). Il problema è che questo termine non è credibile: basta un minimo di buon senso per capire che un’opera di pulizia di questo tipo richiede una decina di settimane di lavoro.
Scritte ingiuriose, graffiti, disegni. E ancora slogan, insulti, parolacce. Altro che eleganza sabauda: le condizioni dei portici di via Po, una delle vie più iconiche della città, sono più simili ai muri del Bronx.
Una condizione di fronte alla quale la maggioranza comunale, nella persona dell’Assessore Curti, non sembra particolarmente preoccupata: “Siamo consapevoli della situazione e stiamo provvedendo. La via sarà in condizioni impeccabili entro la chiusura dell’ostensione della Sindone”.
A parte il fatto che si sarebbe dovuto provvedere alla pulizia prima dell’arrivo del grosso dei pellegrini e turisti in città, e non durante la loro permanenza a Torino – quando cioè la città è sotto i riflettori -, sono i tempi promessi a essere del tutto privi di credibilità.
Basta un minimo di buon senso per calcolare che un’opera di pulizia e manutenzione di questo tipo necessità di almeno 8-10 settimane, senza contare il tempo che si è perso interrompendo e facendo riprendere i lavori.
Spiace constatare che, per l’ennesima volta, la Giunta preferisca affrontare i problemi fuori tempo massimo rincorrendo disperatamente scadenze impossibili da rispettare, anziché programmare con un minimo di respiro strategico a favore dei cittadini.