Skip to main content

Tag: Covid-19

Adesso si torni a scuola

Mi preoccupa la prospettiva di una chiusura delle Scuole Secondarie di II e in parte di I grado protratta fino al nuovo anno: non siano gli studenti a pagare le mancanze della politica. Mi associo all’appello dell’AGeSC: si faccia di tutto per poter tornare quanto prima alla didattica in presenza.

Faccio mio l’appello dell’Associazione Genitori Scuole Cattoliche: la prospettiva di tenere chiuse le scuole fino a fine anno mi preoccupa. Il ricorso sistematico alla didattica a distanza è una scorciatoia imboccata perché non si sono applicate prima le giuste misure in termini di potenziamento del servizio di trasporto pubblico e di risorse stanziate per garantire alle Scuole margini di organizzazione autonoma. La didattica a distanza è una soluzione d’emergenza: di emergenza improvvisa di certo non si potrà parlare nel caso di un terzo picco, che peraltro tutti speriamo non si verifichi, a metà inverno. Il costo di una chiusura ulteriormente prolungata o di una riapertura a singhiozzo rischia di essere altissimo, specialmente per gli studenti più fragili e per le stesse famiglie. Una chiusura così drastica è, nel contesto europeo, un’anomalia quasi esclusivamente italiana. Facciamo il possibile per riaprire al più presto e in maniera definitiva le Scuole Statali e Paritarie.

Tempo di Covid: bomba a orologeria pronta a esplodere se si interrompe la continuità di cura

Anche le patologie con cure e visite catalogate come “differibili” o “non urgenti” rischiano, se trascurate in questa fase di seconda ondata, di aggravarsi, con un costo umano, organizzativo e anche economico dalle proporzioni non prevedibili. Appena discussa, sul tema, una mia interrogazione in Consiglio Regionale del Piemonte. La mia preoccupazione resta alta, anche perché cominciano a segnalarsi i primi casi di gravi conseguenze. Ecco alcuni esempi relativi all’ipoacusia, all’odontoiatria e alle reazioni allergiche.

Saranno anche visite e cure “differibili” o “non urgenti”, ma trascurare certe patologie e condizioni è fonte di gravi conseguenze. Alcuni esempi tra gli altri: persone in attesa di protesi dentaria con bonifica del cavo orale ed estrazioni dentarie già effettuate che ora, senza denti e senza protesi, sono a rischio denutrizione; ipoacusici gravi che ora soffrono di un isolamento acustico che complica i rapporti familiari, sociali e professionali, senza contare il rischio di insorgenza di deficit cognitivi; pazienti allergici in attesa di terapia vaccinica (già programmata) che non può essere perfezionata (e l’asma non trattata aumenta il rischio Covid-19); casi di orticaria cronica trattata con anticorpi monoclonali soggetti a piano terapeutico e dunque non prescrivibili.

Sono solo quattro esempi tra i tanti possibili. Resta, anche dopo aver discusso in Consiglio Regionale una nuova interpellanza sul tema della continuità di cure ed esami in tempi di seconda ondata Covid-19, una forte preoccupazione per tante categorie di pazienti (tra gli altri: reumatologici, sclerodermici o rari). 

Per tutti questi cittadini piemontesi c’è il rischio di un aggravamento della propria condizione, proprio per il fatto di non essere stati visitati o curati per settimane. Più pazienti avremo lasciato indietro, più alto sarà il rischio che si verifichino situazioni drammatiche, che oltre tutto porteranno con sé pesanti conseguenze in termini di aumenti dei costi per la nostra Sanità e di ulteriore incremento delle liste d’attesa. 

Una vera e propria bomba a orologeria è pronta a esplodere. Quali sono le misure che si intendono adottare per evitare la cancellazione delle visite considerate meno urgenti? Il gran numero di figure professionali dirottate sul Covid-19 non è senza conseguenze e il prezzo finiscono per pagarlo coloro che avrebbero necessità di non interrompere le cure.
Lo stesso Assessore Icardi ha riconosciuto, poco fa a verbale, l’importanza della continuità di cura, anche in una fase di emergenza, e la necessità di attuare provvedimenti di riorientamento dei servizi sanitari. Mi auguro che ciò avvenga in tempi brevi.

Conseguenze psichiatriche da Covid-19: un dramma nel dramma

Uno studio della Oxford University (Mississippi) rivela: dopo la diagnosi, disturbi psichiatrici per un paziente su cinque. Le tremende ripercussioni economiche della crisi su ampie fette di popolazione rischiano di peggiorare la situazione. Che risposte intende dare a questo proposito la Giunta Regionale? Che cosa si intende fare, inoltre, per tutelare anche dal punto di vista psicologico il nostro personale medico e sanitario, da mesi sottoposto a uno stress senza precedenti? Presto sul tema una mia interpellanza a Palazzo Lascaris.

Il 20% delle persone alle quali è diagnosticato il Covid-19 presenta disturbi psichiatrici dopo la diagnosi: è il preoccupante risultato che emerge da un’indagine condotta dal Dipartimento di Psichiatria della Oxford University (Mississippi, USA). Le terrificanti conseguenze economiche della crisi epidemiologica rischiano di peggiorare ulteriormente la situazione: penso a commercianti e imprenditori, ai lavoratori che hanno perso il lavoro, a ristoratori e baristi e, in generale, a tutti i nostri concittadini che hanno vissuto sulla propria pelle queste conseguenze. Che cosa intende fare, sul tema, la Regione Piemonte? Al momento, mi pare che si stia muovendo piuttosto in direzione contraria all’esigenza di potenziare la capacità di risposta della nostra Sanità, vedi i dubbi sul futuro dei Servizi Psichiatrici al Mauriziano di Torino. Il report dell’ateneo statunitense fa emergere dati in preoccupante continuità con quanto già appurato dall’Ospedale San Raffaele di Milano lo scorso agosto: il 56% delle persone guarite dal Covid-19 ha manifestato disturbi quali disturbo post traumatico da stress, depressione o sintomatologia ossessivo-compulsiva, proporzionalmente alla gravità dell’infiammazione durante la malattia. Il nostro personale medico e sanitario ha a sua volta bisogno di essere tutelato, dopo mesi di sforzo senza precedenti, dal punto di vista psicologico. Di fronte a tutto questo, come intende rispondere la Regione Piemonte? Non si è ancora vista alcuna risposta. Tornerò a sollecitare la Giunta in Consiglio Regionale e presenterò al più presto un’interpellanza sul tema.

Perché la Regione continua a usare gli ospedali invece del territorio?

Perché dobbiamo continuare a mandare una persona anziana, affetta da Alzheimer o da diabete, in ospedale piuttosto che nella farmacia sotto casa per ritirare i farmaci necessari a curarsi? Usare meglio e di più la “distribuzione per conto” attraverso le farmacie: facilità di accesso, sicurezza per i cittadini e risparmio globale per la Regione.

Almeno 400.000 accessi impropri ogni anno agli ospedali da parte dei cittadini piemontesi per ritirare medicinali che potrebbero essere distribuiti facilmente dalle 1600 farmacie territoriali (di cui 700 rurali, più i 150 dispensari nei comuni più piccoli) della nostra Regione.

Si tratta di un numero di persone enorme (e la cifra è assolutamente sottostimata), sicuramente fragili, anziani e/o malati cronici, che sono costrette ad attraversare la città o spostarsi di Comune per raggiungere l’ospedale e lì ritirare il medicinale che potrebbero trovare nella farmacia del loro quartiere o del loro paese.

Per quale ragione? Soprattutto adesso, in questa situazione di emergenza sanitaria – si chiedono Gallo, Giaccone, Grimaldi, Magliano e Sacco – perché non usare al meglio la rete delle farmacie territoriali che eviterebbero spostamenti pericolosi per il singolo e per la collettività?

Dispensare medicinali attraverso la farmacia significa potenziare la sanità territoriale, limitare il disagio dei cittadini, fornire un servizio più efficiente e capillare, evitare inutili costi sociali e sanitari correlati al diffondersi del Covid e, quindi, ottenere un risparmio complessivo: guadagnare in salute e risparmiare denaro.

“Non sfruttare pienamente la rete territoriale della farmacia è pericoloso e controproducente”, proseguono i Presidenti dei Gruppi Pd, Lista Monviso, Luv, Moderati e 5 stelle.
E il costo che la Regione sostiene per la distribuzione capillare attraverso le farmacie è sicuramente inferiore ai costi sociali, sanitari ed economici che si potrebbero ingenerare attraverso lo spostamento inutile verso gli ospedali da parte della popolazione più fragile”.

L’emergenza Covid ha evidenziato la necessità di un rafforzamento dell’assistenza territoriale, che si è rivelata non in grado di assicurare cure adeguate a domicilio ai contagiati non gravi e nemmeno di farsi carico dei pazienti cronici e fragili, e questa assistenza passa anche attraverso lo ‘sfruttamento’ ottimale della rete delle farmacie e la distribuzione da parte di queste dei farmaci.

In Piemonte c’è un eccessivo ricorso alla Distribuzione Diretta effettuata dagli ospedali/ASL, che va proprio nella direzione opposta alla territorializzazione della sanità. Infatti, la Regione non utilizza buona parte del finanziamento dello Stato per la Spesa Farmaceutica Convenzionata, vale a dire territoriale, mentre sfora abbondantemente per quella ospedaliera. Due numeri: nel 2019 la Regione Piemonte ha “avanzato” quasi 126 milioni di euro dalla convenzionata (sui 668 stanziati) e ha “sfondato” di oltre 164 milioni di euro il tetto della spesa ospedaliera (dati AIFA, “Monitoraggio spesa”); dal 2015, inoltre, la spesa convenzionata si è contratta di oltre 63 milioni di euro, ai quali si devono sommare i 17 milioni di euro di riduzione registrati nel primo semestre di quest’anno.

Ma anche sul lato della DPC (modalità attraverso la quale la Regione compra attraverso gare ad evidenza pubblica a prezzi estremamente ridotti alcuni medicinali e li fa distribuire dalle farmacie a fronte di un onorario fisso di circa 5 euro, che è inferiore alla abituale marginalità della farmacia) le cose non vanno meglio.

Nonostante l’accordo regionale, alcune ASL continuano a ricorrere massicciamente alla Distribuzione Diretta, con evidenti disagi per il cittadino e costi di gestione e ambientali: la differenza in termini percentuali tra le ASL che rispettano l’accordo e quelle che invece persistono nella distribuzione diretta è intorno al 40%, cioè quasi 800mila confezioni su base annua che il cittadino cronico, assistito sul territorio dal proprio medico di medicina generale, deve andare a ritirare in ospedale anziché nella farmacia sotto casa, con evidenti oneri aggiuntivi per il cittadino stesso, pericoli di contagio e distrazioni di risorse da destinare invece alle acuzie e/o altre attività proprie dell’ospedale: si tratta di oltre 400mila accessi impropri/anno alle farmacie ospedaliere. A ciò si aggiunge la distribuzione diretta da parte della Regione di una quota sensibile di principi attivi del PHT, ulteriori a quelli indicati nell’accordo e contenuti per lo più in medicinali somministrati per via orale, agevolmente gestibili sul territorio e che dovrebbero, quindi, essere invece indirizzati alla DPC riducendo così ulteriormente spostamenti ed accessi agli ospedali.

Raffaele Gallo (Pd)
Sean Sacco (M5S)
Marco Grimaldi (Luv)
Mario Giaccone (Lista Monviso)
Silvio Magliano (Moderati) 

I malati cronici, le persone affette da malattie rare e i pazienti che necessitano di un trattamento del dolore cronico sono le vittime indirette del COVID-19

Ambulatori e poliambulatori chiudono o riducono l’attività e chi ha bisogno di cure e prestazioni rischia di rimanere senza assistenza: subito soluzioni per porre rimedio a questa non meno urgente emergenza.

Con il picco della seconda ondata pandemica, torniamo ad assistere alla progressiva chiusura degli ambulatori, dei poliambulatori, dei day hospital, dei day service e talvolta di interi reparti. Un gran numero di specialisti degli ambulatori, inoltre, è destinato ad altre attività relative all’emergenza epidemiologica da COVID-19.

Le conseguenze sui pazienti con patologie diverse dal COVID-19 sono immediate e drammatiche. Chiedo con forza l’attivazione di tutti i servizi legati alla telemedicina, la garanzia di permessi speciali per i caregiver e naturalmente, in tutti i casi in cui sia possibile, il ripristino dei presidi ambulatoriali e dei reparti specialistici. C’è un’ampia fetta di popolazione, oggi, preoccupata non soltanto di contrarre il COVID-19, ma anche di non poter proseguire le cure richieste dalla propria situazione medica di partenza

Purtroppo, infatti, la grave emergenza da Coronavirus non ha cancellato le altre patologie, alcune delle quali richiedono cure continuative di alto livello. Tra queste, le varie patologie croniche e rare, le patologie su base autoimmune, le più gravi forme di patologia reumatica e le patologie che necessitano di un trattamento del dolore cronico.

Per i pazienti affetti da tali patologie, l’interruzione della continuità delle cure può risolversi in una recrudescenza della malattia stessa. Le sole patologie di tipo reumatologico sono oltre 120, ciascuna con bisogni differenti e talvolta ultraspecialistici.

La gestione dell’attuale emergenza non può tradursi nella negazione dei bisogni di centinaia di migliaia di altri malati sul solo territorio piemontese. Chiedo dunque che siano garantite cure sicure a tutti i pazienti.