Skip to main content

L’appello dei piemontesi bloccati in America Latina: «Fateci tornare a casa»

Migliaia gli italiani bloccati tra Messico e Argentina e almeno cento, si stima, i piemontesi: «I prezzi dei voli raggiungono i 4mila euro a testa, non ci arrivano né aiuti economici né materiali».

Sui giornali e sui blog leggiamo le loro lettere. Sui social circolano le loro richieste d’aiuto. Sono, si stima, almeno cento i residenti del Piemonte rimasti bloccati in America Latina in queste settimane di emergenza pandemica globale. Le loro storie sono quasi tutte riconducibili a un’identica dinamica: il blocco delle frontiere li ha sorpresi durante un viaggio o un soggiorno, rendendo il ritorno in patria una missione quasi impossibile. Pochissimi i voli disponibili, il più delle volte venduti a prezzi improponibili. Per chi può pagare, anche arrivare all’aeroporto più vicino può essere uno scoglio insuperabile: in tante zone del continente il blocco dei trasporti è totale.

Tre storie tra le tante.

Quella di Luca Profenna, educatore e residente a Torino, partito per il Sud America lo scorso dicembre ed entrato in Bolivia a febbraio. Lì è rimasto, insieme ad altri 80 italiani dei quali una decina provenienti dalla nostra Regione, da quando, il 17 marzo, il Paese ha chiuso le frontiere. I trasporti sono bloccati: non solo da città a città, ma anche all’interno della stessa area geografica, dello stesso centro, dello stesso quartiere. Una prima possibilità per tornare gli è concessa il 4 aprile: ma ancora la sera del 3 aprile nessuno sapeva né l’orario né l’aeroporto di partenza. Solo in 30 sono riusciti a partire. Una seconda possibilità arriva qualche giorno dopo dall’Ambasciata italiana: un viaggio con quattro scali per una somma totale pari a 4mila euro a persona. Impraticabile. La prossima occasione? In teoria in calendario il 4 maggio: ma il volo è organizzato dall’Ambasciata spagnola e per gli italiani non è assolutamente garantito che si trovino i posti.

Quella di Cristina Barbero, Volontaria piemontese a La Paz. A fine aprile scade il suo contratto di lavoro (e, almeno in teoria, dovrebbe terminare la sua esperienza in Bolivia). La stessa Cristina Barbero si è sentita proporre soltanto soluzioni parziali e costose: garantito solo l’arrivo a San Paolo del Brasile, da lì ognuno per sé.

Quella di Sabrina Negro, da da un anno e mezzo residente a sua volta a La Paz. Dopo un anno di Volontariato attraverso un programma dell’Unione Europea, è stata contrattata come cooperante per portare a termine il progetto su cui stavamo lavorando. Ora, scaduto il contratto, vorrebbe tornare in Italia:  ha però finora ricevuto solo soluzioni parziali, a costi molto alti, molto scali e mai un arrivo sul suolo nazionale.

Sono solo tre storie tra le tante: ma rappresentative di tutte le altre. A queste persone spesso non arrivano aiuti né economici né materiali. Molti cominciano ad avere difficoltà economiche. Tutti si aspettano dalle autorità e dalle Istituzioni perlomeno informazioni certe e chiare. Mi associo agli appelli di queste persone: dietro ogni storia c’è una famiglia e, in diversi casi, situazioni difficili quando non drammatiche.

Fateli tornare a casa.