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Vanchiglia affonda tra spaccio, illegalità e disordine

Il menefreghismo della politica ha incancrenito la situazione, la pedonalizzazione della zona rischia di farla precipitare. Nessuno vuole che il quartiere si trasformi in una nuova San Salvario.
L’obiettivo di una parte della politica cittadina appare chiaro: trasformare Vanchiglia nella nuova San Salvario, clonando scrupolosamente nella copia tutta la serie di annessi problemi –  dagli schiamazzi alla sporcizia, dall’illegalità al degrado – che caratterizzano l’originale.
L’immobilismo – ma sarebbe più corretto dire: “il menefreghismo” – della politica ha ormai incancrenito i problemi di un quartiere da mesi ostaggio degli spacciatori – sempre padroni della zona nonostante alcuni arresti -, nel quale la tensione generalizzata è percepita dai cittadini e dai commercianti. Il degrado e la sporcizia diffusi e il frastuono che si protrae fino all’alba rendono la zona invivibile per i residenti.
Evidentemente, le priorità sono sempre altrove (così come le pattuglie degli agenti a piedi introdotti dall’Assessore Tedesco solo a San Salvario), nonostante – solo per fare alcuni esempi recenti – in piazza Santa Giulia capiti che un’ambulanza sia impossibilitata a raggiungere l’abitazione di una persona che ne aveva chiesto l’urgente intervento a causa del posteggio selvaggio, rallentando così le operazioni di soccorso; o che, dopo l’orario di chiusura dei locali, venditori abusivi di bevande alcoliche trasformino i bagagliai delle loro auto in chioschi improvvisati.
Come se non bastasse, l’ultima proposta è quella di pedonalizzare un’area decisamente estesa del quartiere, da via Cesare Balbo ai laterali della Chiesa passando per via Giulia di Barolo e via Buniva. Con l’introduzione dell’area pedonale, la “sansalvarizzazione” di Vanchiglia sarebbe completata. L’idea è dell’Assessore Lubatti e dal presidente della Circoscrizione Durante. Ed è un’idea che trova l’opposizione convinta di residenti, commercianti, gestori dei locali e operatori del mercato.
Noi stessi ci opporremo con tutte le nostre forze a una soluzione che non farà che aumentare i problemi di disordine, rumore, spaccio e illegalità.

Movida e sicurezza, per l’Assessore Tedesco Vanchiglia è una zona di serie B

I pattugliamenti a piedi della Polizia municipale, introdotti dall’Assessore per regolare e controllare la vita notturna durante i mesi estivi, copriranno soltanto San Salvario. Altre zone ugualmente “calde” – piazza Santa Giulia e dintorni in primis – saranno abbandonate a se stesse dall’Amministrazione pubblica?
Questa Giunta continua ad agire come se esistessero, in città, zone privilegiate e zone indegne di attenzione e controllo. Una gestione a due velocità che pare regolare anche il controllo degli eccessi della movida estiva.
L’ultima iniziativa dell’Assessore Tedesco è l’introduzione di pattugliamenti notturni in San Salvario, nella fascia oraria tra mezza notte e le 6 di mattina durante i mesi estivi, da parte di coppie di agenti che si muovono a piedi.
Una misura motivata con la necessità di limitare gli schiamazzi e garantire decoro e sicurezza “in largo Saluzzo, dove fino a tarda notte si intrattengono all’aperto alcune centinaia di persone, e in tutta la zona circostante, nella quale la vita notturna non si spegne dopo la chiusura dei locali”.
Peccato che la descrizione calzi a pennello anche per altre zone della città, per esempio Vanchiglia – con i suoi locali molto frequentati e la movida che prosegue fino alle prime luci dell’alba – e piazza Santa Giulia, punto di ritrovo di centinaia di persone che prolungano il divertimento all’aperto fino a tarda notte.
Non si capisce per quale ragione si debbano fare due pesi e due misure per i residenti, i gestori dei locali e gli avventori occasionali dei due quartieri. E non si capisce soprattutto perché Vanchiglia meriti minori investimenti, attenzione e impegno rispetto a San Salvario da parte della Giunta comunale.

Oltre all’abbattimento delle barriere architettoniche si favorisca un cambio generale di mentalità

Non è sufficiente abbattere le barriere architettoniche e sensoriali ancora esistenti sul territorio cittadino. Oltre a queste, dobbiamo liberarci delle barriere culturali: è inutile, per esempio, costruire uno scivolo per ogni marciapiede, se poi gli automobilisti vi posteggiano davanti il loro mezzo.
Nell’appoggiare e condividere totalmente la petizione popolare presentata oggi – corredata dalle firme di 678 cittadini torinesi – per chiedere al Consiglio comunale di eliminare le barriere architettoniche (e sensoriali) che ancora rendono difficili la mobilità e le interazioni sociali per le persone con disabilità motoria o sensoriale, ribadisco la necessità improrogabile di affiancare agli interventi fisici e tecnici un impegno strategico, sul lungo periodo, finalizzato a favorire un cambio culturale di mentalità.
Inutile eliminare scalini, porte strette, pendenze eccessive e spazi ridotti (problema fisico) se non si fa in modo che, per esempio, gli stalli riservati alla sosta delle persone con disabilità non diventino terreno di conquista per gli altri automobilisti, che l’accesso alle rampe sia sempre lasciato libero, che eventuali guasti agli ascensori delle stazioni del metrò siano opportunamente e anticipatamente segnalati e così via (problema culturale).
Perché la città sia effettivamente per tutti bisogna pensare l’”accessibilità per tutti” a partire dalla fase di progettazione. Limitarsi a interventi di rilevanza locale quando le barriere sono prima di tutto culturali è un passo indietro, non un passo avanti. Proprio nell’ottica di una progettazione per tutti (una filosofia progettuale che deve ispirare non solo l’edilizia, ma anche il sistema della pubblica amministrazione), il Consiglio Comunale ha chiesto alla Giunta di istituire la figura del Disability Manager: aiutiamo lui, dunque, a svolgere il suo compito, un compito gravoso che parte dalla mentalità con cui si affrontano le questioni, in primis quella vitale del trasporto. Ambito nel quale, più che in altri, è evidente non tanto la presenza di barriere, ma soprattutto la carenza strutturale nella creazione e nella progettazione di servizi che siano davvero per tutti (una città che riduce i buoni taxi chiedendo alle persone con disabilità di scegliere tra stallo riservato e buono stesso, e poi lavora su un PEBA – cioè sullo studio di soluzioni, anziché sulla loro attuazione – sta tagliando servizi esistenti per investire sulla progettazione.
Lo sforzo volto a favorire un cambio di mentalità non può che partire dalle scuole. Mi impegno fin da ora a sostenere una campagna di sensibilizzazione, in questo senso, presso le scuole medie della città, con il supporto delle Circoscrizioni ed eventualmente di partner privati.

Il proliferare dei centri commerciali uccide il piccolo commercio

L’opposizione di cinquecento cittadini alla costruzione di un nuovo supermercato in zona Pozzo Strada riporta d’attualità la necessità di salvare negozi e piccoli esercizi. Piccoli esercizi che non sono solo la fonte di sostentamento di tantissime famiglie, ma rappresentano uno dei principali argini contro desertificazione sociale e degrado.
I cittadini di Pozzo Strada hanno espresso a gran voce, con la raccolta di 439 firme, la loro opposizione all’ipotesi di apertura di un nuovo centro commerciale in via sant’Antonino. Tra le ragioni della protesta, la presenza nella medesima via di due altri supermercati già attualmente attivi e di una grande quantità di piccoli esercizi: “Non vediamo l’utilità sociale di un nuovo supermarket – affermano i cittadini –, mentre abbiamo ben chiari i danni, in termini di traffico e inquinamento, che la nuova apertura comporterebbe”.
Senza entrare nel merito della questione, è evidente che, in questa città, il proliferare incontrollato di centri di grande distribuzione sta uccidendo il commercio di vicinato (singoli esercizi e talvolta intere vie commerciali), impoverendo in maniera drammatica tante famiglie.
Non solo: se la Pubblica amministrazione continuerà a ignorare la questione, sarà corresponsabile della distruzione di quello che è anche un formidabile baluardo contro la desertificazione sociale, e quindi contro il potenziale degrado, di interi quartieri.