Skip to main content

La carenza di medici è drammatica, ma quando ne troviamo uno disponibile non siamo in grado di abilitarlo

Il clamoroso caso del dottor Efraín Crego, medico cubano da anni in Italia messosi a disposizione in questa fase di emergenza: ma la sua odissea per ottenere anche nel nostro Paese il riconoscimento del titolo accademico non si è ancora conclusa. Quanti altri medici extracomunitari si trovano nella stessa, assurda situazione?

Efrain Alberto Crego Quesada è un medico cubano. Da cinque anni è in Italia. Si è messo a disposizione in questa fase di emergenza da COVID-19, nella quale particolarmente grave è la carenza di personale medico. Manca solo un “piccolo” dettaglio: il riconoscimento anche in Italia del suo titolo accademico, conseguito a Cuba. 

Il suo titolo di Dottore in Medicina, conseguito a Cuba, è stato riconosciuto, per esempio, dal “Ministerio de Educación, Cultura y Deporte” (Spagna), ma non dal nostro Paese. Gli è stato chiesto, e lui ha accettato, di frequentare un anno integrativo presso i nostri atenei, ma la prospettiva si è infranta di fronte al numero chiuso: nessun posto disponibile e nulla di fatto.

Crego ha un curriculum di tutto rispetto. La sua esperienza sarebbe utilissima in una fase drammatica nella quale non solo i posti letto, ma il personale medico è tanto raro quanto prezioso. Nel suo CV spicca, oltre alla laurea in Medicina (conseguita all’Università Dr. Serafín Ruíz de Zárate Ruíz, nel 1996, a Cuba), la specializzazione in Medicina Generale Integrale (Medicina Famigliare, sempre all’Università Dr.Serafín Ruíz de Zárate Ruíz nel 2001). La sua esperienza è vasta a livello internazionale.

Eppure, di fatto, qui da noi Crego non può svolgere la propria attività professionale. Neppure ora, in una fase di assoluta urgenza. Quanti altri medici laureatisi fuori dall’Europa sono nella stessa situazione? Trovo stucchevole e assurdo che il Piemonte, che si è fatto aiutare dai medici (con medesimo titolo) della Brigata Henry Reeve durante la prima ondata, oggi si trovi in questa impasse solo perché il nostro sistema universitario non riconosce titoli extraeuropei.

Il mio appello: troviamo una soluzione. E facciamolo in fretta.

Perché la Regione continua a usare gli ospedali invece del territorio?

Perché dobbiamo continuare a mandare una persona anziana, affetta da Alzheimer o da diabete, in ospedale piuttosto che nella farmacia sotto casa per ritirare i farmaci necessari a curarsi? Usare meglio e di più la “distribuzione per conto” attraverso le farmacie: facilità di accesso, sicurezza per i cittadini e risparmio globale per la Regione.

Almeno 400.000 accessi impropri ogni anno agli ospedali da parte dei cittadini piemontesi per ritirare medicinali che potrebbero essere distribuiti facilmente dalle 1600 farmacie territoriali (di cui 700 rurali, più i 150 dispensari nei comuni più piccoli) della nostra Regione.

Si tratta di un numero di persone enorme (e la cifra è assolutamente sottostimata), sicuramente fragili, anziani e/o malati cronici, che sono costrette ad attraversare la città o spostarsi di Comune per raggiungere l’ospedale e lì ritirare il medicinale che potrebbero trovare nella farmacia del loro quartiere o del loro paese.

Per quale ragione? Soprattutto adesso, in questa situazione di emergenza sanitaria – si chiedono Gallo, Giaccone, Grimaldi, Magliano e Sacco – perché non usare al meglio la rete delle farmacie territoriali che eviterebbero spostamenti pericolosi per il singolo e per la collettività?

Dispensare medicinali attraverso la farmacia significa potenziare la sanità territoriale, limitare il disagio dei cittadini, fornire un servizio più efficiente e capillare, evitare inutili costi sociali e sanitari correlati al diffondersi del Covid e, quindi, ottenere un risparmio complessivo: guadagnare in salute e risparmiare denaro.

“Non sfruttare pienamente la rete territoriale della farmacia è pericoloso e controproducente”, proseguono i Presidenti dei Gruppi Pd, Lista Monviso, Luv, Moderati e 5 stelle.
E il costo che la Regione sostiene per la distribuzione capillare attraverso le farmacie è sicuramente inferiore ai costi sociali, sanitari ed economici che si potrebbero ingenerare attraverso lo spostamento inutile verso gli ospedali da parte della popolazione più fragile”.

L’emergenza Covid ha evidenziato la necessità di un rafforzamento dell’assistenza territoriale, che si è rivelata non in grado di assicurare cure adeguate a domicilio ai contagiati non gravi e nemmeno di farsi carico dei pazienti cronici e fragili, e questa assistenza passa anche attraverso lo ‘sfruttamento’ ottimale della rete delle farmacie e la distribuzione da parte di queste dei farmaci.

In Piemonte c’è un eccessivo ricorso alla Distribuzione Diretta effettuata dagli ospedali/ASL, che va proprio nella direzione opposta alla territorializzazione della sanità. Infatti, la Regione non utilizza buona parte del finanziamento dello Stato per la Spesa Farmaceutica Convenzionata, vale a dire territoriale, mentre sfora abbondantemente per quella ospedaliera. Due numeri: nel 2019 la Regione Piemonte ha “avanzato” quasi 126 milioni di euro dalla convenzionata (sui 668 stanziati) e ha “sfondato” di oltre 164 milioni di euro il tetto della spesa ospedaliera (dati AIFA, “Monitoraggio spesa”); dal 2015, inoltre, la spesa convenzionata si è contratta di oltre 63 milioni di euro, ai quali si devono sommare i 17 milioni di euro di riduzione registrati nel primo semestre di quest’anno.

Ma anche sul lato della DPC (modalità attraverso la quale la Regione compra attraverso gare ad evidenza pubblica a prezzi estremamente ridotti alcuni medicinali e li fa distribuire dalle farmacie a fronte di un onorario fisso di circa 5 euro, che è inferiore alla abituale marginalità della farmacia) le cose non vanno meglio.

Nonostante l’accordo regionale, alcune ASL continuano a ricorrere massicciamente alla Distribuzione Diretta, con evidenti disagi per il cittadino e costi di gestione e ambientali: la differenza in termini percentuali tra le ASL che rispettano l’accordo e quelle che invece persistono nella distribuzione diretta è intorno al 40%, cioè quasi 800mila confezioni su base annua che il cittadino cronico, assistito sul territorio dal proprio medico di medicina generale, deve andare a ritirare in ospedale anziché nella farmacia sotto casa, con evidenti oneri aggiuntivi per il cittadino stesso, pericoli di contagio e distrazioni di risorse da destinare invece alle acuzie e/o altre attività proprie dell’ospedale: si tratta di oltre 400mila accessi impropri/anno alle farmacie ospedaliere. A ciò si aggiunge la distribuzione diretta da parte della Regione di una quota sensibile di principi attivi del PHT, ulteriori a quelli indicati nell’accordo e contenuti per lo più in medicinali somministrati per via orale, agevolmente gestibili sul territorio e che dovrebbero, quindi, essere invece indirizzati alla DPC riducendo così ulteriormente spostamenti ed accessi agli ospedali.

Raffaele Gallo (Pd)
Sean Sacco (M5S)
Marco Grimaldi (Luv)
Mario Giaccone (Lista Monviso)
Silvio Magliano (Moderati) 

I malati cronici non siano costretti a rinunciare alle cure in questa fase di emergenza

Ho presentato un Question Time a Palazzo Lascaris per chiedere che sia garantita la continuità assistenziale e di cura per le persone affette da malattie croniche, rare o con necessità di trattamento del dolore cronico: il COVID-19 non cancella purtroppo le altre malattie.

Chiudono ambulatori, poliambulatori, day hospital, day service e talvolta interi reparti. Un gran numero di specialisti degli ambulatori è destinato ad altre attività relative all’emergenza epidemiologica da COVID-19. Ma non per questo le altre malattie sono scomparse in questa fase di massima emergenza. Ho appena presentato in Consiglio Regionale un Question Time per chiedere alla Giunta di intervenire affinché sia garantita la continuità assistenziale ai malati cronici. C’è un’ampia fetta di popolazione, oggi, preoccupata non soltanto di contrarre il COVID-19, ma anche di non poter proseguire le cure richieste dalla propria situazione medica di partenza. In particolare per chi soffre di patologie croniche e rare, di patologie su base autoimmune, di gravi forme di patologia reumatica e di patologie che necessitano di un trattamento del dolore cronico l’interruzione della continuità delle cure può risolversi in una recrudescenza della malattia stessa. Le sole patologie di tipo reumatologico sono oltre 120, ciascuna con bisogni differenti e talvolta ultraspecialistici. La gestione dell’attuale emergenza non può tradursi nella negazione dei bisogni di centinaia di migliaia di altri malati sul territorio piemontese.

Via Nizza 22/F, chi vincerà la volata tra le bici, i monopattini, le auto e la sicurezza dei bambini?

Davanti agli Istituti Bonacossa/Fregonese sfrecciano ciclisti, monopattinisti e automobilisti, rischiando di travolgere genitori e piccoli alunni nelle fasce orarie di entrata e uscita da scuola. Ho appena presentato, sul tema, un’interpellanza in Sala Rossa.

La ciclabile c’era già. E funzionava. Come funziona tuttora, sul lato dei civici dispari di via Nizza, marciapiede est. Ma porta con sé una macchia irredimibile, l’essere stata voluta dalla precedente Giunta. E così l’attuale Amministrazione ne ha realizzata un’altra, parallela e adiacente al marciapiede ovest. Proprio così: una seconda pista ciclabile sulla stessa strada. La nuova ciclopista passa proprio davanti alle Scuole Bonacossa e Fregonese. Davanti al civico 22/F i genitori accompagnano e attendono. rispettivamente nelle fasce orarie d’entrata e di uscita, le bimbe e i bimbi: sono circa 200 a frequentare le classi della Scuola dell’Infanzia e della Scuola Primaria. Facile immaginare la quantità di persone presenti sul marciapiede nelle ore “di punta”. Sull’adiacente ciclabile a doppia corsia sfrecciano talora a velocità folle, come da me verificato personalmente, biciclette e monopattini. A centro strada accelerano le auto dopo lo stop al semaforo di largo Marconi. Le situazioni di pericolo sono all’ordine del giorno. Ho fatto mie le richieste delle Scuole e delle famiglie, che chiedono a gran voce maggiore sicurezza. In particolare, con un’interpellanza già depositata in Sala Rossa, chiederò alla Giunta Appendino interventi finalizzati a rallentare la velocità, in quel tratto di strada, sia dei veicoli a motore sia di biciclette e monopattini, tramite il posizionamento di dissuasori e con il potenziamento della segnaletica sia orizzontale sia verticale. Proporrò inoltre di realizzare un dosso in corrispondenza dell’attraversamento pedonale, sulla falsariga del manufatto già presente nella vicina via Emanuele Thesauro. Segnalo che a fine ottobre sono comparse nuove strisce bianche lungo la ciclabile, ma in posizione errata rispetto alle necessità (vedi foto in evidenza): anche su questo chiederò informazioni all’Assessore competente.

Ex Astanteria Martini, il lungo sonno delle Istituzioni

Da troppo tempo sul tema della struttura abbandonata di largo Cigna a Torino né la Regione né il Comune si muovono: il risultato è un ricettacolo di degrado, proprio quando più avremmo bisogno di posti letto.
 
Avremmo bisogno di posti letto, ci ritroviamo degrado e sospette occupazioni abusive: ecco la situazione attuale dell’ex Astanteria Martini di largo Cigna 74 a Torino. Il tema è oggetto di due mie interpellanze, una appena discussa in Consiglio Comunale e l’altra già presentata in Consiglio Regionale. 

All’Amministrazione Civica contesto la sostanziale inerzia, laddove si sarebbe potuto e dovuto cercare un’interlocuzione con l’ente regionale e con l’Asl proprietaria del bene per provare a dare una svolta a una situazione che, lungi dall’essere risolta, peggiora con gli anni. Viviamo in questi tempi difficili una drammatica carenza di posti letto e simili strutture sarebbero oggi più che mai utili. Per quanto riguarda la sospetta presenza di soggetti che si introducono abusivamente nell’ex Astanteria, la risposta “non ci sono giunte segnalazioni a riguardo” è, da parte dell’Assessore Iaria, assolutamente insoddisfacente. Mi auguro almeno che ora il Comune faccia, con la Municipale, le proprie verifiche.

Discuterò prossimamente la mia interpellanza anche in Consiglio Regionale: la prospettiva della realizzazione di un poliambulatorio è auspicata dai residenti e mi troverebbe assolutamente favorevole. Urge una programmazione seria per dare nuova vita a un bene inutilizzato dal lontano 2003 e per riqualificare un quartiere che si sente sempre più abbandonato dalla politica.